venerdì 1 dicembre 2006

APPENDICE I: comunicazione e logos (Translation pending)

Cosa è che riusciamo ad osservare?1

Noi possiamo percepire solo le relazioni e i modelli delle relazioni in cui si sostanzia la nostra esperienza. E' la cibernetica ha fornirci la risposta: le percezioni sono tali soltanto in rapporto a un punto di riferimento (o a un insieme di punti di riferimento).
Quello che viviamo è una realtà trasfigurata in mondo dall'effetto di un sistema di comunicazione basato sull'informazione, che utilizza come contenuti le parti comuni delle esperienze soggettive.

La punteggiatura della sequenza di eventi: le regole

Un'altro principio della comunicazione riguarda l'interazione tra i comunicanti, quella che è stata definita la "punteggiatura della sequenza di eventi". Si tratta di modelli di scambio (su cui gli oggetti-individui-fenomeni coinvolti in una sequenza comunicativa possono concordare o meno), secondo i quali ad ognuno dei partecipanti sembrerà che l'uno o l'altro abbia l'iniziativa o che si trovi in posizione di dipendenza e così via. Tali modelli regolarizzati diventano regole contingenti.


L'interazione complementare e simmetrica

Le relazioni tra oggetti-individui-fenomeni possono essere basate sull'uguaglianza o sulla differenza. Nel caso dell'uguaglianza, gli oggetti-individui-fenomeni che interagiscono tendono a identificarsi l'uno nel comportamento dell'altro dando luogo ad un'interazione simmetrica.
Nel caso della differenza, (il caso che ci interessa), il comportamento di un oggetto-individuo-fenomeno completa quello dell'altro oggetto-individuo-fenomeno e costituisce un tipo diverso di Gestalt (forma) comportamentale, si ha allora un'interazione complementare.
La relazione tra due uomini è una relazione simmetrica, la relazione uomo-natura è una relazione complementare. In una relazione, due diversi comportamenti che si sono adattati ai rispettivi ruoli, sono interdipendenti, cioè si richiamano a vicenda
2.


A questo punto resta da comprendere il termine logos.

Nessuno è in grado di dare un’adeguata definizione al vocabolo logos. Il razionalismo ellenico nasce su questa contraddizione; i greci furono i primi a chiedersi che cosa sia il logos e quali siano le sue procedure. Il termine logos fu indicato in discorso, calcolo, valutazione, misura, ragione di essere delle cose, causa, apprezzamento, stima, definizione, argomento, ragionamento, pensiero, scelta, spiegazione, necessità...3

  1. Esso indica ogni spiegazione dell’esperienza in termini linguistico-razionali. Eraclito coniò questa parola: 'sebbene tutto avvenga secondo il logos (la ragione discorsiva) gli uomini sono ottusi nei confronti del logos, sia prima sia dopo averne sentito parlare, e sembrano inesperti al riguardo4 -.

Essere razionale, infatti, non significa avere una teoria della razionalità; si può utilizzare l’intelligenza senza averne idea, essa si manifesta nella vita come un'abilità, una capacità innata e/o acquisita con l’esperienza. Tutti, chi in misura maggiore o minore, sono usati dalla ragione, dalle concatenazioni logico discorsive create dal fluire incessante dei discorsi con le loro catene di significati che recuperano gli echi nascosti delle nostre esperienze.

Se la mente non esiste scissa dal logos allora noi non possiamo sviluppare alcuna ricerca e comprensione sulla posizione della mente nel mondo. Questo è vero, ma noi possiamo studiare la funzione del dispositivo (scatola nera) nel sistema più grande di cui fa parte. Questo ci procura un vantaggio euristico: non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcuna ipotesi intrapsichica (che è fondamentalmente inverificabile) e possiamo limitarci all’osservare i rapporti in ingresso-uscita, cioè la comunicazione.

Il problema definisce l’attribuire un significato a un atto, che per essere compreso deve essere arricchito appunto di un significato condivisibile. Il significato può essere scelto tra un gruppo di n significati possibili e probabili, ma che possono essere non veri, ma che, indipendentemente dalla verità, avvalorano l’atto comunicativo.

Questa comunicazione è rinforzata dal comportamento che è determinato dall’esperienza precedente, ma è inattendibile ricercarne le cause nel passato. L’evento a viene prima dell’evento b così che l’evento b è determinato da a. Ma questo è un errore perchè in una interazione comunicativa b non sta soltanto reagendo ad a e non si rende conto che lui influenza il feedback comunicativo con la sua reazione. La memoria crea la costruzione e la priorità dei significati; ma le esperienze soggettive su cui si basa la memoria hanno la tendenza a distorcere i significati.

Qualunque soggetto A che comunichi al soggetto B è strettamente legato alla relazione in corso e ne viene determinato, cioè prende i suoi significati.

Quindi la comunicazione è un sistema a retroazione, a feedback, non ha fine ne principio, e si sostanzia in sé stessa.

Da qui il paradosso: è non reale la comunicazione in una data struttura comunicativa perchè uno dei suoi membri non è reale, o uno dei suoi membri è irreale perchè la realtà è la stessa struttura comunicativa?


La comunicazione come funzione

Per duemila anni l’uomo ha visto i numeri come espressione di grandezze5; nel 1591 Francois Viète de la Bigotière introdusse la numerazione mediante le lettere dell’alfabeto. Fu una variazione che fece nascere il concetto di funzione e relegò in secondo piano l’idea dei numeri come grandezze astratte. Infatti a differenza del numero la variabile non ha un valore indipendente, una variabile ha valore solo in rapporto con un’altra variabile (come il principio figura/sfondo della Gestalt). Il concetto di funzione è il rapporto tra le variabili ed è espresso come un’equazione (ma non è il solo modo). Le funzioni diventano segni per un nesso. A questi segni manca il carattere della grandezza, della forma, sono segni per un’infinità di situazioni possibili di uno stesso tipo che solo se comprese come unità sono numero.
Il nesso da comprendere è il parallelismo che esiste tra l’esplicitazione matematica del concetto di funzione e il riconoscimento in psicologia del concetto di relazione.
Le ricerche sul cervello e sugli organi sensoriali hanno dimostrato che noi possiamo percepire soltanto le variazioni e i modelli delle relazioni in cui si sostanzia la nostra esperienza. E difficile percepire un suono costante e regolare che tenderà a diventare impercettibile. Se vogliamo farci un’idea tattile della trama di una superficie, non è sufficiente appoggiarci sopra un polpastrello, ma bisogna farlo scorrere avanti e indietro, perchè se non lo muoviamo non possiamo prendere nessuna informazione utile, fuorché probabilmente sulla temperatura che d’altronde dipende dalla differenza esistente tra la temperatura dell’oggetto e quella del dito. Questo dimostra che le percezioni implicano un processo di cambiamento e/o di movimento.

La percezione creata dal logos è quindi una relazione che è identica al concetto matematico di funzione.

Ne consegue che la sostanza delle nostre percezioni logiche non è costituita da cose ma da ‘funzioni’; e le funzioni non sono grandezze isolate ma ‘segni per un nesso...per un’infinità di situazioni possibili di uno stesso tipo...”
E se le cose stanno così allora e ancora di più il processo di comunicazione con la natura in cui l’uomo è coinvolto, cioè la consapevolezza che l’uomo ha di sé stesso, è sostanzialmente una consapevolezza delle funzioni, delle relazioni in cui si trova coinvolto.

1W.R. Ashby, Introduzione alla cibernetica, trad. it. Di M. nasti, Torino, Einaudi.

2Un oggetto-individuo-fenomeno non impone una relazione complementare, ma piuttosto presuppone il comportamento dell'altro oggetto-individuo-fenomeno e nello stesso tempo gliene fornisce le ragioni, in questo modo tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza.

3Di fronte a questa difficoltà di definizione ci possiamo far aiutare da quei discorsi in cui il logos sembra non funzionare, o, al contrario funzionare troppo come l'enigma, il dilemma, l'antinomia, il paralogismo.

4 Eraclito Pery Phiseos

5 O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, trad. It. Di J. Evola, Milano, Longanesi, 1957, p.132

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